Accogliamo la sfida!

La scuola cattolica e il fallimento delle agenzie educative

11 Ottobre 2021

Un romanzo annunciato

Per comprendere le intenzioni vere de “La scuola cattolica”, il film di Stefano Mordini, uscito nelle sale italiane nell’autunno del 2021, bisogna rifarsi necessariamente all’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, pubblicato da Rizzoli nel 2016.

La trasposizione cinematografica, come avviene per ogni traduzione intersemiotica, è evidente che tradisca il testo originale, ripiegandosi alle logiche di un linguaggio diverso, che però dovrebbe provare almeno a rispettare il genere che, sottolineiamo, come l’autore stesso riconosce, segue una narrazione romanzata.

Ovviamente, le logiche di mercato necessitano di amplificare la comunicazione e, così, questa volta fedeli al titolo che ha vinto il Premio Strega nell’anno del suo lancio, i produttori hanno pensato bene di cavalcare l’equivoco, forti dell’onda anticlericale che si è alzata negli ultimi tempi. Anche perché, in qualche modo, bisognava alzare l’attenzione prima dell’uscita del film, forse proprio perché consapevoli di quanto noiosa fosse la storia sul piano narrativo, per nulla in linea con un racconto che avrebbe dovuto spiegare un’atroce violenza e risvegliare le coscienze verso un vero scandalo.

Il fallimento delle agenzie educative

In effetti, se si vuole essere intellettualmente onesti, si dovrebbe ammettere che dalla proposta cinematografica esce sconfitto il sistema educativo nel suo complesso, coinvolgendo le tre tradizionali agenzie: famiglia, scuola e Chiesa. Mi piace pensare che sia proprio questa la vera ragione della censura estesa ai minori e non i tentativi di nudo “artistico” e di violenza “sterile”. Inoltre, mi chiedo anche se l’esclusione dei mass media dalle responsabilità educative sia stata volontaria, visti i secondari riferimenti, nel film, più al cinema che alla televisione d’intrattenimento.

A 10 anni dal Concilio

Limitiamoci al nostro ambito di competenza e vediamo come viene refigurata la categoria del “religioso”, intesa, in questo caso, come insieme di segni che rimandano al mondo cattolico.

Siamo negli anni ’70 del secolo scorso e, soprattutto in alcune zone “altolocate”, la scuola cattolica non perdeva colpi sul piano quantitativo, cercando di reagire al mutamento sociale mantenendo un’impronta conservatrice giustificata dagli universali valori cristiani.

Tra i giovani i principi alla base delle lotte sessantottine erano ormai stati acquisiti e, per la prima volta, come si racconta anche nel film, questa generazione poteva godersi libertà che in passato non erano possibili.

La Chiesa, in un certo senso, aveva anticipato questo risveglio sociale con il Concilio Vaticano II, ormai terminato da dieci anni (ricordiamo che la storia che stiamo commentando risale al 1975), ma le strutture cattoliche, guidate probabilmente ancora da chi la riforma l’aveva subita, provavano ad adeguarsi formalmente, anche se con qualche difficoltà sostanziale.

I soliti preti

Chiesa e uomini di Chiesa, lo sappiamo, sono due cose distinte e, così, alla spinta conciliare non risponde il sistema educativo, ma l’immagine del prete “moderno” (in contrapposizione con il sacerdote direttore della scuola) che rimorchia prostitute e che, giustamente, insegna educazione fisica. A quanti, nei commenti, si sono gonfiati nell’evidenziare la solita immoralità del clero, è sfuggito, però, un breve dialogo dove, a quanto pare, il professore di ginnastica manifesta la sua inquietudine interiore, lasciando intendere una crisi che forse avrebbe voluto risolvere allontanandosi. Si congratula, infatti, con lo studente che è stato promosso, ma lascia intendere che l’anno successivo non ci sarà.

Più scontato, invece, l’integerrimo preside che, nelle prime scene, incarna il cliché del sacerdote legato ai soldi, pronto a “chiudere gli occhi” di fronte a quello che oggi definiremmo un atto di bullismo, pur di ottenere una generosa offerta per la prossima Pasqua.

Figli di papà

Nulla di originale, a tal proposito, se non fosse per il fatto che, ritornando a quanto detto sopra, la scena evidenzia il fallimento del padre che, per salvare la faccia, pubblicamente copre il figlio con i soldi e, dopo, nel privato, lo picchia, non per l’errore, ma per la brutta figura che ha dovuto subire. Questo episodio porterà allo scambio di ruoli tra vittime e carnefici, con la “flagellazione” del giusto, accusato di essere uno spione e, quindi, condannato ad interpretare Gesù nella scena della via crucis.

Preghiera e teologia del corpo

Altra categoria religiosa refigurata è la preghiera, quando non formalmente rappresentata in contesto liturgico con atteggiamento indubbiamente farisaico, elevata attraverso la semplicità di una bambina che chiede di proteggere la sua famiglia.

Concludiamo con l’accostamento del corpo con l’Eucaristia, nel passaggio tra la scena di sesso e l’immagine della distribuzione della Comunione. Ad una mente abituata a speculare potrebbe ispirare una forma di teologia della body art, che attraversa la pellicola ed esplode violenta nel finale, trasmettendo la vulnerabile condizione della nudità.

A. G.

Lascia un commento