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Italiani, popolo di santi, navigatori e analfabeti funzionali

2 Agosto 2017

di Antimo Verde – Sono trascorsi anni da quando un gentile e garbato maestro si affacciava dagli schermi, rigorosamente in bianco e nero, per cercare di insegnare, alla stragrande maggioranza degli italiani, a leggere e a scrivere. Un compito che il diligente maestro Manzi con la sua seguitissima trasmissione, dal titolo “Non è mai troppo tardi”, ha egregiamente compiuto. Infatti, in quegli anni l’82% della popolazione si esprime usando unicamente il dialetto e 2 milioni di italiani sono assolutamente analfabeti, ma grazie all’ausilio della sua trasmissione migliaia di telestudenti sono arrivati a conseguire, non solo la licenza elementare, ma addirittura il diploma.

Da allora, ovviamente, la situazione in Italia è nettamente cambiata, tanto che l’attuale livello di scolarizzazione sfiora la totalità dei suoi abitanti.

Difatti, secondo una ricerca Istat nel nostro Paese il 15,3 per cento dei cittadini maschi ha conseguito la laurea, mentre le donne arrivano addirittura al 19,8 per cento. Eppure, paradossalmente, gli italiani continuano ad essere degli analfabeti. Più precisamente analfabeti funzionali. In pratica, pur sapendo leggere, scrivere e fare i conti, hanno serie difficoltà a comprendere testi semplici e sono privi di molte competenze utili nella vita quotidiana.

Non riescono, cioè, a capire un articolo di giornale pur riuscendo a leggerne le parole, non riescono a compilare una domanda di lavoro o a interagire con strumenti e tecnologie digitali e comunicative e rimandano ogni informazione alla propria esperienza diretta. Non sono in grado, inoltre, di capire il libretto di istruzioni di un cellulare e non sanno risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina web se esso si trova in corrispondenza del link per i contatti.

A differenza quindi, degli analfabeti strutturali, che effettivamente non sanno leggere e scrivere, quelli funzionali non sanno comprendere e interpretare la realtà che li circonda e le informazioni a cui sono esposti, pertanto, sono più inclini a credere a tutto quello che leggono in maniera acritica, non riuscendo a comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità. Una recente un’indagine dell’Ocse ha rivelato, infatti, che il 47% gli italiani sarebbe analfabeta funzionale.

Praticamente più di un italiano su quattro. Per tale motivo, secondo l’indagine Piaac, l’Italia risulta penultima in Europa, preceduta solo dalla Turchia, mentre rispetto al resto del mondo, è addirittura quart’ultima. Con le elaborazioni effettuate dall’Osservatorio Isofol, si è potuto tracciare un identikit di questi nuovi analfabeti e scoprire che uno su tre, si trovano nella fascia degli over 55 e il 10% è disoccupato o fanno lavori manuali e routinari.

Tra i soggetti più colpiti vi sono, pertanto, le fasce culturalmente più deboli. Per quanto riguarda, invece, la distribuzione geografica, il sud e il nord ovest del Paese sono le regioni con le percentuali più alte. I risultati più interessanti sono evidenziati dal fatto che la percentuale di tali analfabeti aumenta con il crescere dell’età, passando dal 20% della fascia 16-24 anni all’oltre 41% degli over 55.

Ciò è dovuto, secondo Simona Mineo, ricercatore Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, al fatto che chi è nato prima del 1953 non ha usufruito della scolarità obbligatoria, ma anche perché nelle fasce più adulte si soffre maggiormente dell’analfabetismo di ritorno, ovvero, che se non sono coltivate, vengono perse anche quelle competenze minime acquisite durante le fasi di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro.

L’assenza di allenamento mentale, quindi, è la causa che la ricercatrice individua per il declino della popolazione più anziana. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di tornare tra i banchi di scuola da adulti o partecipare attivamente al mondo del lavoro. Si dovrebbe, pertanto, garantire un invecchiamento attivo e sostenere attività di apprendimento in età adulta con una serie di iniziative che purtroppo, in Italia, continuano ad essere estremamente ridotte.

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