8 Dicembre 2015
di Francesco Di Chiara –
Quando pensi Napoli, la sua storia e il calore che trasmette ‘o paese do’ sole, è difficile non collegarsi con la mente alla ricchezza della memoria musicale partenopea che, attraversando il passaggio tra antico e nuovo, continua a decantarne la bellezza. Dalla maschera di Eduardo al blues di Pino Daniele, passando attraverso le mediterranee contaminazioni culturali che ricordano Eugenio Bennato, la novità della tradizione continua grazie alla band musicale La Maschera. Gruppo fondato a Napoli nel 2013, grazie all’incontro tra il cantautore Roberto Colella, il trombettista Vincenzo Capasso e il bassista Eliano Del Peschio. A questi, dopo poco, si aggiunsero il batterista Marco Salvatore e il chitarrista Alessandro Morlando. I testi delle canzoni valorizzano il dialetto napoletano e, come si legge dalla pagina facebook ufficiale, sono stati musicati con “un sound fresco, sperimentale, lontano dai cliché, che oscilla tra la canzone d’autore, la bossa e il blues”.
Ricercati su youtube, questi ragazzi hanno stimolato la nostra curiosità, in particolare attraverso la canzone e il rispettivo video del singolo ‘La confessione’. Trattasi di un testo che vede protagonista un sacerdote che, a confronto con se stesso, si sfoga raccontando le storie più tristi che è costretto ad ascoltare la domenica mattina, quando accoglie le persone che vogliono confessarsi. Ciò che maggiormente ha attirato la nostra attenzione è la traduzione, in linguaggio visivo, di questa storia. Nel filmato, infatti, non si vede un sacerdote, ma un attore che, nel suo camerino, si prepara da andare in scena. Così abbiamo contattato Roberto Colella (autore e interprete della canzone), che gentilmente ha accettato di incontrarci per rispondere a qualche domanda.
Perché La maschera?
Per il legame che ha con il teatro e, in particolare, con Napoli. Non a caso la nostra prima canzone è Pullecenella, la maschera che da sempre rappresenta la città e lo spirito partenopeo. Per le mille sfaccettature possibili, per le caratteristiche definite di una maschera, nonostante la sua “staticità” fisica.
In effetti la vostra proposta presenta diversi punti d’incontro con il teatro. Come mai questa scelta?
Il teatro mi ha sempre affascinato e non solo quello napoletano. Frequentando l’Università “Federico II” di Napoli e avendo avuto l’opportunità di studiare Shakespeare in lingua originale, ho colto dei punti d’incontro tra la caratterizzazione dei suoi personaggi popolari e le maschere partenopee più conosciute.
Una maschera che, come le vostre canzoni, stimola sentimenti contrapposti, pur trasmettendo una contagiosa allegria, propria dello spirito napoletano.
In effetti un giorno guardavo un video dove Eduardo spiegava l’enorme quantità di espressioni possibili con una maschera, capace di trasmettere gioia e tristezza, bontà e rabbia, amore e odio, riso e pianto. Così presi un foglio e iniziai a scrivere “Pullecenella chiagne, pullcenella ride…”. È la maschera di Napoli, capace di far scendere la lacrima su un sorriso
Una canzone in particolare ha attirato la nostra attenzione: La confessione. Ci siamo detti che dietro doveva esserci un prete o almeno un’esperienza pregressa di chierichetto in chiesa o qualcosa del genere. È così?
Non esattamente. Non ho mai fatto il chierichetto e non frequento la chiesa. Il prete, in effetti, è più un pretesto per raccontare storie di vite difficili. In un primo momento immaginavo ‘a capera, poi ho capito che le questioni trattate erano troppo elevate per essere ridotte a pettegolezzo e così ho trovato nel personaggio del prete il giusto veicolo per parlare di certi problemi.
Azzardando un’interpretazione più profonda potremmo dire che sono le storie che racconta, il pretesto per parlare di se stesso?
Si, è vero. Preso dalla voglia di sfogarsi non si accorge che alla fine racconta se stesso, la sua stanchezza che lo porta a non meravigliarsi più. Nello sfogo, poi, finisce con l’ammettere la sua debolezza, il suo “peccato” (se l’amore oggi può definirsi così)
anche se, tutto sommato, nel testo il tutto si ‘limita’ all’intensità di un abbraccio, viscerale, dato con cuore e anima. Infatti dice: “L’aggio stregnuta forte e forse non avrei dovuto … forse ero troppo vicino”.
Si, infatti, tutto sommato non ci sembra che il testo nasconda un’intenzione anticlericale e la stessa figura del sacerdote non ne esce poi così maltrattata.
Infatti, non c’era nessuna intenzione di offendere la figura del prete che, anche se non so se sono cattolico, rispetto. Vi è anzi la voglia di innalzarne l’umanità con il più nobile dei sentimenti.
Non sai se sei cattolico, ma almeno sai se sei credente?
Si, credo che ci sia Qualcosa otre ciò che si vede.
Intanto il ritornello è la sintesi di un insegnamento che potremmo definire da manuale catechistico.
In effetti, nella prima parte, quando si dice “pe campa’ meglio t’e cunfessa’”, l’intenzione è “laica”. Per vivere meglio ti devi aprire, devi raccontarti… anche raccontarsi a se stessi, senza filtri, è un buon modo “pe’ campa’ meglio”.
Si, però subito dopo dici che “sti preghiere nun servono a niente, si tra ddoie ore stai ancora a sbaglia’”. Questo è quando si dice “l’intenzione di non peccare più”, teologia concreta nella sua semplicità, che ti insegnano al catechismo.
Non ricordo cosa si insegna al catechismo, ma ci tenevo a raccontare l’ipocrisia che si nasconde dietro chi si batte il petto in segno di pentimento, e poi torna sui suoi passi l’istante seguente. Mi sembrava il modo più semplice per sintetizzare la cosa.
Appunto, questo è Vangelo! Ma passiamo al video della canzone. Perché la scelta di rappresentare il prete come un attore che si sta truccando nel suo camerino?
Diversamente non sapevo da dove partire. Mi risultava difficile rappresentare un prete, non avrei saputo contestualizzarlo e così ho pensato che, tutto sommato, un attore potesse andare bene poiché entrambi necessitano di prepararsi prima di andare in scena. Credo che la citazione di Nietzsche riportata all’inizio del video possa valere anche per un sacerdote: “l’attore non prova il sentiment
o che esprime, sarebbe perduto se lo provasse”.
Concludiamo augurandoci che non sia così, poiché un prete dovrebbe sforzarsi di vivere la fede che esprime, altrimenti davvero sarebbe perduto. Intanto, anche se non è nel nostro stile, auguriamo ai ragazzi de La maschera un futuro florido sul piano professionale, poiché i giovani vanno sempre incoraggiati, soprattutto se capaci di salire sul palco della vita per recitare la poesia più bella … quella scritta con il cuore.
httpv://youtu.be/qfPTVX7Vul8
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