
4 Novembre 2015
di Antimo Verde – Quando si pensa al Giappone, immediatamente vengono alla mente immagini di samurai, geishe, mandorli in fiore e sakè. Ma anche di tanta tecnologia che si mescola a millenarie tradizioni. Un mondo fatto di miscugli e anche di contraddizioni. Un mondo, forse, troppo veloce e pieno di discordanze che, forse, non permette neppure di assaporarlo nella giusta maniera. Se il Paese del Sol Levante rappresenta la massima apertura e proiezione nel futuro, molti adolescenti nipponici, al contrario, preferiscono volersi chiudere nel loro mondo, in particolare nella loro camera per non uscirne più per mesi, anni o addirittura per tutta la vita.
Il fenomeno di ragazzi che si richiudono tra le pareti della propria stanza, abbandonano ogni tipo di rapporto col mondo esterno, sembra ormai dilagare coinvolgendo un numero sempre maggiore di giovani affetti da quella che ormai viene definita, la sindrome di Hikikomori, termine giapponese che significa, appunto, “isolarsi”. Questi ragazzi scelgono di avere come unici strumenti per trascorrere le giornate l’uso di Internet, i fumetti e i videogiochi.
In Giappone, ormai, è un fenomeno che si è diffuso a macchia d’olio, raggiungendo il numero strabiliante di circa trecentomila casi e che, proprio per questo, rappresenta un problema sociale grave tanto quanto l’abuso di sostanze stupefacenti e disturbi del comportamento alimentare. Il profilo degli Hikikomori può essere definito quasi come un peculiare “stile di vita”, una sorta di “anoressia sociale”.
Giovani adolescenti che, in un’età che tipicamente si colloca tra la terza media e la prima superiore, indipendentemente dalla posizione geografica e sociale, posti di fronte alle comuni sfide della crescita, prendono ad evitare sempre di più il mondo esterno decidendo deliberatamente di optare per una vita di reclusione che rifugge da tutti quegli stimoli e da tutti quei contesti sociali e relazionali che la vita quotidiana mette a disposizione.
La realtà virtuale diventa il loro mondo reale. Infatti, l’Hikikomori vive unicamente online: trascorre una vita sedentaria, si divide tra computer e fumetti, inverte il ritmo sonno-veglia, ordina il cibo online e lo consuma in isolamento, finendo con l’escludersi totalmente dalla vita affettiva familiare e sociale. Dopo essersi creato un’identità virtuale ben precisa e spesso ben lontana dalla propria vera personalità, inoltre, il giovane Hikikomori, inizia a chattare e a crearsi una rete di amicizie online, selezionando e prestando attenzione a comunicare solo con altri Hikikomori e gettando nella confusione più totale i genitori che, spesso, non sono in grado di gestire la reclusione del proprio figlio.
Contrariamente a quanto si possa pensare, lo Hikikomori non è solo un fenomeno giapponese dove ha caratteristiche sue peculiari della cultura del posto, ma è stato riscontrato anche in Spagna, Italia, Corea del Sud, incredibilmente in Oman e da poco in Francia. Sono, infatti, 30 i casi accertati in 15 mesi all’Hopital St. Anne di Parigi. L’Italia non sembra esserne immune, infatti, anche nel nostro Paese, si si contano una cinquantina di casi dichiarati e presi in carico.
Purtroppo, si ritiene che il fenomeno ha serie possibilità di diffondersi gradualmente, visto il numero eccessivo di ore che gli adolescenti italiani trascorrono davanti al computer. In realtà, non è un fenomeno riscontrato da poco, visto che i primi casi italiani, anche se sporadici e isolati, sono stati diagnosticati già nel lontano 2007, e da allora ha continuato a crescere impercettibilmente.
E’ importante però, non confondere la dipendenza da internet col fenomeno dei Hikikomori, poiché quest’ultimo presenta delle caratteristiche ben precise che la distinguono dall’abuso tecnologico. Infatti, secondo il neuropsichiatra Ferruccio Masnata, l’Hikikomori, si verifica spesso in famiglie in cui il padre è assente, fisicamente per morte o divorzio, o praticamente, per comportamento.
I contatti reali con amici e la frequenza della scuola sono sospesi. Inoltre, in molti casi i ragazzi arrivano addirittura a picchiare la madre. Purtroppo, per ignoranza, vergogna o senso di colpa, ci può essere negligenza o ritardo nel chiedere aiuto a chi, invece, è competente. Un modo corretto per poter affrontare queste situazioni è quello di permettere le visite a casa di un terapeuta e la presa in carico dell’intera famiglia. Soluzioni veloci e concrete che possono aiutare questi adolescenti ad uscire dal loro mondo buio e chiuso.