Accogliamo la sfida!

In Europa si scommette sui giovani, e in Italia?

20 Maggio 2011

di Valeria Guasco –

Diploma di maturità. Laurea (triennale, specialistica, magistrale). Master. Stages vari (retribuiti al minimo). Dottorati e Post-dottorati. Sembra che nel nostro paese non bastino tutti questi attestati che certifichino il grado culturale giovanile per permettere alle nuove generazioni di accostarsi al mondo del mercato del lavoro. Secondo gli ultimi dati dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo in Europa) del marzo del 2011, l’Italia presenta il tasso di disoccupazione pari al 28,6% mentre altri paesi dell’Eurozona quali l’Austria (9,4%), la Germania (8,2%) ad esempio non arrivano al 10% del tasso di disoccupazione sul totale della popolazione. Un esempio eclatante di eccellente gestione del connubio studio-lavoro giovanile è fornito dai Paesi Bassi che presentano un tasso solo del 6,9% di disoccupazione.

In particolar modo in Olanda la disoccupazione tra i ragazzi è la più bassa d’Europa poiché la scuola e le imprese collaborano nella formazione dei ragazzi; la maggior parte dei neodiplomati e dei neolaureati rimane nelle liste di collocamento per non più dei sei mesi. In Olanda lo slogan è “work first” per cui nessun ragazzo può rimanere a casa senza far nulla divenendo un NEET (Neither in education nor in employment or training). Un ragazzo olandese che ad esempio lascia precocemente la scuola viene immediatamente reclutato dallo Stato che è disposto a pagare fino a 7 milioni di euro all’anno per promuovere specializzazioni richieste dalle aziende. Grazie a questo stanziamento economico governativo i giovani olandesi non aspettano di diplomarsi o di finire l’università per inviare curricula e fare colloqui, inoltre durante gli anni del liceo, il 60% degli alunni ha un’esperienza lavorativa, cosa che in Italia non accade mai. Nella fase universitaria, il 70 % dei giovani olandesi coniugano lo studio con il lavoro mentre in Italia lo fa solo il 10% poiché nel nostro paese vige ancora lo schema obsoleto del prima-lo-studio-poi-il-lavoro. In più esiste un salario minimo garantito per i giovani ed i famigerati stages aziendali (da noi non retribuiti o sottopagati) hanno regole severe. Infatti, secondo un rapporto dell’OCSE gli stages sono considerati un punto di partenza non un mezzo di confinare i giovani alla precarietà vita natural durante.

Se paragoniamo l’Olanda e l’Italia quest’ultima esce nettamente sconfitta dal confronto. Ad esempio, in Olanda nell’anno della crisi economica del 2009 il governo ha varato un piano per favorire l’occupazione giovanile pari a 250 milioni di euro gestiti dagli enti locali mentre in Italia il Ministero della Gioventù attraverso il progetto “Diritto al futuro” ha stanziato un fondo di 300 milioni di euro non ancora attivato. L’età di scolarizzazione olandese è stata alzata fino ai 18 anni con l’obbligo di ottenere un titolo di studio secondario superiore mentre nel Belpaese l’obbligo scolastico è fissato ai 16 anni con la possibilità di anticiparlo ai 15 in caso di contratto di apprendistato. Per quanto riguarda il salario minimo, in Olanda dall’età di 17 anni è garantito un salario minimo del 42% di quello degli adulti che sale al 60% al compimento dei 20%. In Italia non esiste l’istituto del salario minimo ma il precariato a vita che nei Paesi Bassi viene scongiurato dopo tre anni di inserimento lavorativo.

L’Italia dovrebbe apprendere i segreti del modello olandese per permettere alle nuove generazioni di sperare in un futuro con maggiori certezze, meno disorientante dove poter costruire un avvenire, creare dei legami, magari una famiglia, acquistare una casa, realizzare dei sogni che in altre realtà poco lontane geograficamente dalla nostra sembrano consuetudini oramai consolidate.

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