
29 Aprile 2017
di Antimo Verde – Sono passati oramai 80 anni da quando venne costruito quello che è considerato a tutt’oggi, subito dopo Hollywood, il secondo stabilimento di cinematografia più grande in occidente. Per i suoi impianti e strumenti di eccezionale potenza e i 22 teatri di posa impegnati in produzioni di film italiani e internazionali, oltre a quelle televisive, Cinecittà si merita senza dubbio l’appellativo di “mecca del cinema”. Certamente nessuno poteva immaginare quale grande storia avrebbe scritto quella che verrà soprannominata la “Hollywood sul Tevere” e quale valenza avrà, non solo per l’economia nazionale, ma soprattutto per l’orgoglio della patria.
Nel giorno dell’inaugurazione, di quel 28 aprile del 1937, tra le tante autorità, è presente anche Benito Mussolini sotto il celebre manifesto su cui campeggia la scritta: «La cinematografia è l’arma più forte». Il duce, infatti, intuisce da subito la forza e la potenza dell’arte cinematografica e non aspetta altro che servirsene per promuovere e diffondere le sue idee e linee politiche. Ma a differenza del regime nazista che usa il cinema per auto-celebrarsi, quello fascista, al contrario utilizza la settima arte per intrattenere, divertire e suscitare emozioni.
Seppure sia da ascrivere a quell’anno, la storia di Cinecittà affonda, però, le sue radici in un tempo ben più lontano: nella celebre storia della casa di produzione Cines e nella passione di un direttore generale della cinematografia fascista, Luigi Freddi. Complice un viaggio oltre oceano, Freddi si convince, osservando il modello del cinema americano, che l’impresa privata dei produttori italiani poteva beneficiare di un sostegno pubblico che canalizzi alla cultura fascista.
Dunque, già nel 1935, la società “Cinecittà” vede la luce negli Studi sulla via Tuscolana, per rivitalizzare gli stabilimenti della Cines che aveva già prodotto e distribuito importanti pellicole che avrebbero segnato la storia del cinema italiano, come il primo kolossal dal titolo “Quo Vadis?” e “La canzone dell’amore”, primo film sonoro.
Ma, a causa di un incendio, certamente di origine dolosa, gli stabilimenti vengono interamente bruciati e la Direzione Generale per la Cinematografia di Freddi decide di intervenire impegnando capitali pubblici assieme a quelli privati per costruire una nuova e più moderna “cittadella del cinema” proprio di fronte all’appena nato Centro Sperimentale di Cinematografia.
Essendoci investimenti ed entusiasmo, il corso dei lavori si accelera incredibilmente e tra la posa della prima pietra e l’inaugurazione passano appena 15 mesi. Cinecittà diventa così, una fucina inesauribile di talenti e una inimitabile scuola di arti e di mestieri dando lavoro a migliaia di persone tra addetti alla manovalanza, attori e comparse. Da allora la città del cinema ha alternato periodi d’oro a quelli di crisi, come la stagione dei “telefoni bianchi”, nella quale si tengono a battesimo registi come Rossellini e De Sica, ai rastrellamenti nazisti che, nella Roma occupata, fanno dei teatri di posa dei veri campi di concentramento.
Con la fine della guerra e la voglia di innovazione dettata dal boom economico, anche Cinecittà rinasce non solo grazie ai capitali americani immessi in Italia, ma anche con il contributo della professionalità di carpentieri, scenografi, costumisti, tecnici che il Paese è in grado di offrire. Si avviano produzioni titaniche come “Quo Vadis?”, “Ben Hur” e “Cleopatra” con una superba Liz Taylor, che al momento è la più importante e pagata attrice del mondo.
Lavori che fanno impallidire Hollywood e mettono Cinecittà al centro del mondo cinematografico. Ma soprattutto inizia a nascere un genere di cinema tutto italiano, realizzato con pochi soldi ma ricco di originalità, grazie al quale la produzione nazionale viene rilanciata. Accorrono registi da ogni dove per girare nei suoi studi, ma sono ancora quelli italiani che lasciano il segno e contribuiscono a renderla ancora più grande e agognata. È la Cinecittà di Fellini e di Ettore Scola che risplende del suo massimo splendore, sino ad arrivare ad a un lento declino che sfocia in una vera crisi nel cuore degli anni ’80.
Seppure trascorsi 80 anni, osservando oggi Cinecittà, si ha la sensazione di un passato ancora presente e che allo stesso tempo non vuol diventare futuro. Nonostante i costosi lavori effettuati qualche anno fa che ne hanno restituito apparentemente l’antico splendore, a tratti sono ancora visibili zone non completamente riassestate con costruzioni e scenografie di produzioni del passato non ancora smantellate. Come di un continuo ricordare dei suoi gloriosi fasti, ma con il timore di viverne di nuovi.